Eritrei morti a Lampedusa, “salme ancora non restituite ai familiari”
Per far tornare i corpi in patria serve la prova del Dna, ma non c’è collaborazione tra governo italiano ed eritreo. La comunità eritrea in Italia: “Abbiamo chiesto più volte il rimpatrio delle salme, è ancora tutto fermo e i familiari non possono piangere i propri cari”
06 marzo 2014
ROMA – Dove sono le salme delle vittime del naufragio del 3 ottobre a largo di Lampedusa? E perché non sono ancora state ancora restituite ai familiari? Dopo cinque mesi dalla tragedia la comunità eritrea in Italia, rappresentata dal Coordinamento eritrea democratica, torna a chiedere che i corpi dei morti di quella che è stata la più grande tragedia del mare, possano tornare in patria, per permettere ai parenti di avere un luogo dove piangere i propri cari e dargli una degna sepoltura. Ma per ora la situazione è ancora in stallo. Per poter restituire i corpi, infatti, è necessario procedere con la prova del Dna, sui corpi e sui familiari che sono in Eritrea. Nel paese d’origine ad occuparsene dovrebbe essere la Croce rossa, ma è necessaria anche una collaborazione tra governo italiano e governo eritreo. Ad oggi però nulla si è mosso.
“Abbiamo chiesto più volte il rimpatrio delle salme – sottolinea padre Mussieu Zerai, presidente dell’associazione Habescia – ma la situazione è ancora in alto mare. Sappiamo che le autorità italiane hanno deciso di restituire le salme ai familiari che fanno richiesta, dopo essersi sottoposti però alla prova del Dna. Ma per fare questo serve la collaborazione del governo eritreo, perché la raccolta del Dna viene fatta lì attraverso la Croce rossa. E per ora è tutto fermo. Ma torneremo a far sentire la nostra voce, perché è una situazione davvero assurda”. Anche per Josè Angel Oropeza, direttore dell’ufficio di coordinamento dell’Oim per il Mediterraneo, è difficile che la situazione si sblocchi a breve. “Stiamo seguendo con interesse il tema, ma il problema è complesso – spiega – e sarà diffcile ottenere la collaborazione del governo eritreo. Noi avevamo offerto anche la nostra disponibilità per effettuare i test perché vogliamo che questi corpi tornino al più presto in patria”. (ec)
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