Immigrazione, gli otto luoghi comuni che fanno male all’Europa
di Erika Farris
Il Centro politiche migratorie dell’Università europea di Firenze ha recentemente pubblicato un dettagliato rapporto per sfatare alcuni luoghi comuni legati al tema dell’immigrazione. Otto stereotipi che, alla luce di analisi e ricerche documentate, vengono completamente smentiti e screditati, dimostrando che la maggior parte delle convinzioni più radicate nel senso comune delle persone non sono altro che erronee semplificazioni della realtà.
- L’Europa non ha bisogno di immigrati. Affermazione totalmente errata secondo la ricerca, che ipotizzando uno scenario senza affluenza di stranieri tra il 2010 e il 2030 ha calcolato una perdita di 33 milioni di persone in età lavorativa (-11%) fra i ventotto Stati membri dell’Unione Europea, con una riduzione del 25% dei giovani tra i 20-30 anni e un incremento del 29% per le persone comprese fra i 60-70 anni. Una condizione che avrebbe pesanti ricadute anche sul sistema di welfare della UE, dove il rapporto di dipendenza degli ultrasessantacinquenni nei confronti delle generazioni più giovani salirebbe da un 28% nel 2010 a un 44% nel 2030.
- Gli immigrati ci rubano il lavoro. Una convinzione totalmente contraddetta dalle analisi statistiche, che al contrario mostrano come la disoccupazione e l’immigrazione vadano più spesso in direzioni opposte piuttosto che in parallelo. Da un lato perché gli immigrati tendono a scegliere zone che possano garantirgli un posto di lavoro, e dall’altro perché nei luoghi ad alta occupazione il mercato offre possibilità di impiego sia agli immigrati che ai nativi, senza bisogno di farsi concorrenza a vicenda
- Non abbiamo bisogno di immigrati professionalmente poco qualificati nella UE. Altra posizione smentita dai dati, che invece dimostrano come queste persone trovino una loro posizione nel mercato del lavoro, peraltro compensando ai sempre più numerosi nativi europei che scelgono di dedicarsi a mansioni che richiedono maggiori specializzazioni.
- I migranti minano i nostri sistemi di welfare a causa di famiglie numerose e maggiori rischi di perdita del lavoro. In realtà l’evidenza empirica dimostra che, data la loro età e la loro struttura occupazionale, gli immigrati hanno in media un contributo fiscale netto positivo.
- L’immigrazione ostacola la nostra capacità di innovare, perché fornendo mano d’opera poco qualificata e a basso costo, riduce l’incentivo a investire in nuove tecnologie per le imprese. Le analisi invece dimostrano che la presenza di lavoratori spesso altamente qualificati e la loro diversità di origini gioca un ruolo favorevole per l’innovazione nei luoghi di lavoro.
- Le coste dell’Europa meridionale sono invase dai richiedenti asilo, mentre nella realtà la stragrande maggioranza dei rifugiati recenti non vivono nel vecchio continente ma nei paesi confinanti le aree di conflitto, e la maggior parte dei richiedenti asilo in Europa preferiscono gli stati più a nord-ovest piuttosto che quelli mediterranei.
- I “migranti economici” cercano di imbrogliare il nostro sistema di asilo. Le statistiche dimostrano invece come la maggioranza delle richieste per lo status di rifugiato siano legittime e veritiere. Al contrario, la mancanza di canali di asilo dalle zone più lontane, come il Corno d’Africa, impedisce a tanti che avrebbero diritto di presentare domanda, non potendo giungere in Europa neppure clandestinamente.
- I nostri figli risentono della presenza di stranieri nelle classi scolastiche. Affermazione totalmente smentita dalle indagini PISA (Programma per la valutazione internazionale dell’allievo) che dimostrano come le prestazioni educative inferiori siano legate a svantaggi sociali di ben altro genere, e non alla presenza dei migranti
I dati raccolti dal rapporto mettono dunque ancora più in risalto la totale inesattezza delle politiche della cosiddetta Fortezza Europa, sempre più chiusa e controllata lungo le proprie frontiere. Una strategia che a lungo andare rischia di divenire dannosa, in un’Europa con una popolazione di nativi in costante diminuzione e progressivo invecchiamento, con tutte le conseguenze che questo comporta in termini di welfare, mercato del lavoro e contribuzione fiscale.
A ciò si somma la disumanità di tali scelte politiche, contro le quali ha persino preso posizione Amnesty International, evidenziando come questi programmi mettano in pericolo la vita e i diritti degli esseri umani. E ulteriori critiche sono anche giunte dalle Nazioni Unite, che continuano a richiamare l’Italia per i rimpatri sommari, il frequente ricorso e l’eccessiva durata della detenzione amministrativa, oltre alle condizioni in cui i migranti vengono tenuti all’interno dei Centri di identificazione ed espulsione (CIE), così come nei Centri di prima accoglienza.
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it